Il Centro di Cultura Europea Sant’Adalberto nasce nel 1983, anno in cui si celebrava a Verona il millesimo anniversario della consacrazione episcopale di Sant’Adalberto, avvenuta proprio nella città scaligera il 3 giugno del 983 d.C.
Il Centro di Cultura Europea Sant’Adalberto nasce nel 1983, anno in cui si celebrava a Verona il millesimo anniversario della consacrazione episcopale di Sant’Adalberto, avvenuta proprio nella città scaligera il 3 giugno del 983 d.C.
Fu in quell’occasione che San Giovanni Paolo II inviò una lettera a monsignor Giuseppe Amari, Vescovo di Verona, descrivendo la figura di Sant’Adalberto, monaco benedettino, vescovo e martire, come persona in cui si congiungevano due forme di cultura diverse ma allo stesso tempo profondamente complementari: la spiritualità benedettina, più logica e razionale, di cui si informa la cultura occidentale, e la spiritualità dei due santi fratelli greci Cirillo e Metodio, da cui trae origine la più mistica e intuitiva cultura orientale. «Entrambe – indicava il pontefice – hanno concorso e tuttora devono concorrere, in forza di tale loro mutua complementarità, al mantenimento e al rafforzamento dell’unità spirituale e culturale dell’Europa».
Sempre in quella lettera, Giovanni Paolo II esortava l’uomo del nostro tempo a «mostrare come il Cristianesimo non sia un’esperienza storica superata da nuove forme di redenzione umana, ma è, resta e sarà sempre la “novità” per eccellenza».
Un messaggio così carico di significato esigeva che uomini di fede e di cultura lo vivessero in prima persona e lo prolungassero nel tempo e nella storia di Verona.
La genesi del Centro Culturale è tutta qui: un gruppo di amici legati all’esperienza del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione che, provocati dal pontefice e sulla scia degli insegnamenti di don Luigi Giussani, per il quale l’avvenimento di Cristo è generatore di una coscienza nuova che investe ogni ambito della vita (in questo senso soggetto umano e soggetto culturale coincidono), ha cercato di esprimere la profondità del giudizio culturale vissuto esistenzialmente nella compagnia della Chiesa. Fondamentale per noi il discorso che Giovanni Paolo II tenne al MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) nel 1982: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». L’eco di queste parole è stata raccolta anche dal papa emerito Benedetto XVI, secondo il quale occorre che «l’intelligenza della fede diventi intelligenza della realtà».
Il Centro Culturale ha condiviso le vicende ecclesiali e sociali di questi anni, fedele all’impostazione originaria e nel contempo rimanendo aperto e curioso davanti alle provocazioni che venivano dalla realtà. Quello che ci spinge non è, dunque, una contrapposizione ad altre istituzioni ma il contributo di un’associazione laicale alla Chiesa di Cristo Signore, perché sia più facile e gustoso far «diventare cultura la fede».
Un compito, questo, che vuole essere giocato con tutti gli uomini di buona volontà in una grande apertura ideale ed in una altrettanto precisa identità.
Lo sottolineava ancora Giovanni Paolo II nella lettera al Vescovo Amari: «L’esempio di Sant’Adalberto […] ci incoraggia a cercare e a trovare una “piattaforma d’incontro” tra le varie tensioni e le varie correnti di pensiero, per evitare ulteriori tragedie e soprattutto per dare all’uomo, al “singolo” che cammina per vari sentieri verso la Casa del Padre, il significato e la direzione dell’esistenza».
Tra gli ospiti e i relatori invitati in questi anni ricordiamo in particolar modo: il cardinal Camillo Ruini, il cardinale Angelo Scola, mons. Luigi Negri, il vescovo Massimo Camisasca, il giornalista e politico Magdi Cristiano Allam, l’ex Presidente del Senato Marcello Pera, il filosofo Massimo Cacciari, il poeta Franco Loi, lo storico dell’arte don Timothy Verdon, la storica e giornalista Lucetta Scaraffia, Margherita Caruso Coletta, la scrittrice Marina Corradi, il prof. Franco Cardini, lo psicoterapeuta Alessandro Meluzzi, l’opinionista e scrittore John Waters, il giornalista e scrittore Marcello Veneziani, il giornalista e scrittore Mario Calabresi, lo storico prof. Gianpaolo Romanato, il superiore generale dei Comboniani padre Sanchez, Rose Busingye, il giornalista Davide Perillo, la scrittrice Nadia Fusini, il teologo don Ezio Falavegna, il medico e scrittore Paolo Gulisano, lo scultore Etsuro Sotoo, la prof.ssa Maria Antonietta Crippa, padre Aldo Trento, il compositore Pippo Molino, lo scrittore Alessandro D’Avenia.
Il paragrafo II del Commentarius praevius degli Acta Sanctorum, Tomo III del mese di Aprile, edito a Parigi nell’anno 1886, ci fa sapere che le biografie più antiche riguardanti la vita di Sant’Adalberto sono due, entrambe riconducibili alla quasi contemporaneità degli avvenimenti narrati: la più remota, detta semplicemente Vita, scritta sotto l’impero di Ottone III, sembra dopo soli due anni dal martirio del Vescovo di Praga forse per l’occasione della canonizzazione di Sant’Adalberto avvenuta prima del 2 dicembre di quell’anno sotto il pontificato di Silvestro II, ha probabilmente come autore tale Caneparius, monaco benedettino del Monastero romano dei Santi Alessio e Bonifacio, il quale era vissuto per alcuni anni con Sant’Adalberto nel periodo in cui egli si rifugiò a Roma nel medesimo monastero. Questo monaco conobbe anche Gaudenzio, fratello di Sant’Adalberto, dal quale verosimilmente ebbe le notizie di prima mano e certo veritiere; l’altra, più tarda, biografia è di San Bruno de Quefurt ed è nota come Vita Alia di cui abbiamo due versioni, la prima più lunga, redatta o in Italia o in Germania prima del 1004, la seconda, scritta in Polonia intorno all’anno 1008, contiene fatti nuovi soprattutto per quanto riguarda alcuni episodi della vita di Sant’Adalberto riferibili al periodo praghese, in quanto la fonte delle notizie appaiono essere prevalentemente i ricordi del governatore della Città Radla e del Preposto del Capitolo della Cattedrale Velich-Vilicon. Accanto a queste, merita di essere menzionata anche la Passio Sancti Adalberti Martyris, opera scritta verso il 1018, epoca in cui i resti del corpo del Santo Martire erano ancora custoditi nella Cattedrale di Gniezno. L’autore è un tedesco che soggiornò in Polonia dove ebbe modo di reperire numerose notizie, ancora fresche nella memoria dei contemporanei, incentrate in particolare sulle circostanze specifiche della morte del Vescovo: l’opera, infatti, ha conservato il maggior numero di notizie sul martirio.
Centro Culturale Sant’Adalberto
Via Tommaso Da Vico 14, Verona